Lavoro e cultura giusta risposta alla camorra

L'intervista al deputato Paolo Siani, fratello di Giancarlo Siani, giornalista ucciso dalla camorra, trentaquattro anni fa, a Torre Annunziata, comparsa su inDialogo di dicembre

Nella promozione di lavoro e cultura risiede il segreto per combattere e sconfiggere le mafie.

Si riassume così il pensiero di Paolo Siani, deputato, pediatra, nonché fratello di Giancarlo Siani, giornalista ucciso dalla camorra, trentaquattro anni fa, a Torre Annunziata. Il conferimento della cittadinanza onoraria della città oplontina al fratello Giancarlo – lo scorso 13 dicembre – è stata l’occasione per un viaggio nella memoria, proprio in un periodo in cui lo scoppio di ordigni e bombe è nuovamente d’attualità sul territorio raccontato da Giancarlo, proprio mentre la camorra sembra rialzare la testa a Torre Annunziata, semmai l’avesse chinata.

Onorevole Siani, non crede che questo riconoscimento sia tardivo? Certamente sì. Non sono stati tre, quattro o cinque anni, ma 34 anni. Un tempo enorme, un’altra vita. Tra gli assessori seduti al tavolo venerdì mattina, alcuni erano bambini quando è stato ucciso Giancarlo. Era, evidentemente, necessario che trascorresse tutto questo tempo affinché il consiglio comunale, all’unanimità, non solo proponesse ma anche accettasse di riconoscere Giancarlo come cittadino di Torre Annunziata.

Le cronache delle ultime settimane raccontano di una Torre Annunziata immersa di nuovo in una serie di atti intimidatori. Come vede la città di oggi rispetto a quella degli anni Ottanta? Non abitando a Torre Annunziata, non posso dare un giudizio oggettivo. Mi sembra evidente, tuttavia, che vi sia un abisso tra la città di trentacinque anni fa e quella di oggi. Un abisso che si evidenzia sia con il conferimento della cittadinanza a Giancarlo, poiché essa mai prima era stata realizzata o ipotizzata, sia attraverso il secondo momento di quella giornata, ossia l’annuncio che Palazzo Fienga verrà recuperato dallo Stato e diventerà, probabilmente, un posto di polizia avanzato. Trentaquattro anni fa sarebbe stato impossibile e impensabile. La stragrande maggioranza delle persone di Torre Annunziata erano e sono persone perbene e non bisogna mai mancare di sottolinearlo e c’è una piccola minoranza che, purtroppo, non lo è. E non bastano le manifestazioni come quella di venerdì che non sono sufficienti né possono portare ad altre conseguenze. Possono solo trasmettere voglia di fare, energia e mettere insieme le persone.

Dal punto di vista legislativo quali misure normative ritiene che il Parlamento debba adottare nella lotta alla criminalità organizzata? Penso che norme ve ne siano a sufficienza. Il problema è, piuttosto, trovare le risorse economiche. La lotta alle mafie si fa offrendo il lavoro. Secondo elemento importante è la cultura, che significa, nel concreto, portare i ragazzini a scuola. I dati di questi mesi dimostrano che l’evasione scolastica, in Campania, è ancora molto alta, che i ragazzi che escono dalle scuole medie, rispetto a quelli del Nord, non hanno le stesse competenze nel leggere, nello scrivere e nel far di conto.

Occorre creare delle task force regionali o cittadine per incentivare la frequenza scolastica.

Nella legge finanziaria, sono valorizzati gli asili nido, mancanti al Sud, che sono il primo step di legalità, il primo contatto con lo Stato. Si tratta di un elemento decisivo per incanalare i bimbi sulla via della legalità e della cultura. Arrivando a scuola alle materne o alle elementari, si perdono i primi anni che sono decisivi per lo sviluppo della crescita del cervello del bambino.

In prospettiva futura, i giovani, soprattutto in territori difficile come lo è Torre Annunziata, non riescono ad emergere in tutte le loro potenzialità e talenti. La Fondazione Giancarlo Siani, per vocazione attenta alle loro vicissitudini, quale obiettivo si impone di perseguire? Stiamo realizzando un progetto per i giovani giornalisti, una sorta di scuola di giornalismo. Insieme ad
altri partner, vorremmo dare la possibilità a chi vuole di imparare questo lavoro e diventare giornalista pubblicista. È importante, però, offrire un’opportunità di qualità, per formare persone responsabili e competenti. Tra le altre attività che organizziamo vi è, poi, il Premio Siani, rivolto agli studenti, quest’anno più ampio, coinvolgente e aperto.

Nella postfazione di Fatti di camorra, raccolta di articoli di Giancarlo Siani, descrive suo fratello come un ‘giornalista abusivo’, in quanto lavoratore privo di qualsivoglia garanzia e tutela. Quali misure possono e devono essere adottate per garantire i giornalisti precari? Il giornalismo, nei nostri tempi, è ancora importante? Il giornalismo è fondamentale. È impensabile fare a meno di chi racconta i fatti, di qualcuno che sta sul territorio, raccoglie le informazioni, le valuta e, secondo un codice di comportamento, le pubblichi. La tutela, in questo momento di crisi profonda per l’editoria, è difficile, ma questa fase andrà pian piano superata.

Qual è l’aspetto che ricorda con più piacere dell’opera di suo fratello? Giancarlo aveva una passione: gli piaceva fare questo mestiere, nonostante le tante difficoltà da dover superare. Gli piaceva stare tra la gente, capire le cose, collegare i fatti, aveva una sua rete di informatori, persone che lo aiutavano, come il professore Lamberti, insieme al quale ragionava sui fenomeni della camorra.
Chiunque lo abbia incrociato nel suo percorso di vita ha percepito la passione di poter fare questo lavoro in tutte le sue manifestazioni. Rileggendo, a distanza di tempo, i suoi articoli, si nota anche una passione civile. Non esponeva mai un fatto senza lasciare un commento su come si poteva superare il fenomeno. Aveva un occhio particolarmente attento a raccontare i fatti, a trovare soluzioni o quantomeno a sollevare il problema affinché si potessero trovare soluzioni.

Inoltre, un dato che viene poco evidenziato è che Giancarlo ha scritto molti più articoli sulla disoccupazione e sul tema operaio piuttosto che sulla camorra.

Un sacrificio per la libertà, un cronista per la verità. Possono, secondo lei, queste due definizioni circoscrivere la vicenda di Giancarlo? Secondo me, nessuno dovrebbe sacrificarsi per la libertà. Non dovrebbe esserci bisogno di alcun sacrificio. È un’anomalia dover parlare, oggi, di giornalisti minacciati. È una cosa che non dovrebbe esistere, ma ciò testimonia che le mafie hanno avuto più paura delle penne che delle manette, più dei giornalisti che dei poliziotti e dei magistrati. Questo vuol dire che il lavoro svolto da tanti giornalisti giovani, spesso non tutelati, è molto importante.




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