Sasà Striano: testa matta stregata da Shakspear

Napoli, primi anni ’80. La criminalità contamina l’esistenza di chi ci abita e obbliga a scelte dolorose. Vita di strada, anni di sangue. C’è un bambino, Sasá, che è già stanco della sottomissione e a poco più di dieci anni è già orfano dell’innocenza puerile. Ha la guerra in testa, la cocaina nel sangue e una pistola infilata nei calzoni. È un camorrista. Solitamente chi sente parlare di malavita non fa altro che associare il nome dell’organizzazione ad esseri spietati e senza cuore; effettivamente nella maggior parte dei casi il copione quello è, in questo però riesce a distinguersi il piccolo Sasáe riesce nell’impresa di non omologare il suo primo romanzo, «Teste Matte» (Striano-Lombardi, Editore Chiarelettere, 2015).

Oggi, cinematograficamente (e non solo) parlando, Napoli è disegnata come una terra di nessuno nella maggioranza dei casi, un posto dove tra i vicoli e i quartieri malfamati della malavita si è consumata e si consuma una vera e propria guerra tra clan e famiglie rivali; un ritratto che difficilmente il capoluogo della Campania riuscirà a scrollarsi di dosso, soprattutto ora che le trame gomorriane hanno fatto breccia nell’immaginario comune. Senza troppi giri di parole, la delinquenza è il filo portante anche del primo romanzo dell’ex detenuto, ora scrittore e attore affermato Salvatore «Sasá» Striano. Fin qui niente di nuovo. Tuttavia stupisce la voglia di ottenere rispetto e riscatto da parte del giovane, che finisce con la consapevolezza di essere dalla parte sbagliata e di voler combattere la camorra dalle viscere. E poi arriva il «Bardo» che gli cambia (e salva) la vita.

Ma andiamo per ordine: dopo aver scritto «Teste Matte», Striano è tornato con un romanzo che racconta la sua incredibile redenzione in prigione grazie a William Shakespeare e alle sue opere, scoperte quasi per caso nella biblioteca del carcere di Rebibbia. Ne «La tempesta di Sasá» (Editore Chiarelettere, 2016) e come nel celebre «The Tempest» del drammaturgo inglese di Stratford-upon-Avon, Striano raccoglie la sua vita, e parla del salvifico ruolo che ha la produzione shakespeariana nelle sue “tempeste”: rigenerazione, riconciliazione e agnizione, come direbbero quelli del teatro. Introspezione psicologica di un meraviglioso viaggio alla scoperta di sé, sul coraggio e sul cambiamento sempre possibile, sulla capacità di rialzarsi dopo una dolorosa caduta e capire qual è la vera bellezza. Come se non bastasse,da scrittorequanto mai prolifico, Salvatore Striano presenta «Giù le maschere» (Editore Città Nuova, 2017), una sorta di vademecum per sensibilizzare i diritti delle persone e dei ragazzi delle comunità, delle case famiglia, in modo particolare.

«Ci sono migliaia di comunità e case famiglia sparse sul nostro territorio – afferma Striano –, migliaia di case che ospitano persone senza una famiglia. Sembra un triste gioco di parole e invece si tratta di una storia vera. Per me doveva essere una semplice trasferta, uno spettacolo di due ore in teatro per poi tornare a casa. Ma la vita ha i suoi semafori, dove spesso devi fermarti, proprio com'è successo a me. Ancora prima di entrare in teatro, mi sono dovuto affacciare nella vita di cinque ragazzi, ospiti di una di queste case: Amir, Rashid, Khaled, Ahmed e il Piccolo Principe. Non so se sono stato io a entrare nelle loro vite o loro stessi che mi hanno fatto entrare – conclude –, ma una cosa la so: avevano bisogno di me, un "artista socialmente utile" che gli tracciasse una nuova via da percorrere una volta fuori da quella "casa non famiglia"». Libri sul potere unificante della letteratura, meravigliosamente edificanti e liberatori, sull’amore per l’arte che può davvero cambiare una o più vite. E Salvatore «Sasá» Striano lo sa bene: è la sua (nuova) vita.




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