Francesco Marino,
il vescovo
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L'Eucaristia deve plasmare
la vita del presbitero
«La liturgia della Messa crismale ci induce a meditare ancora una volta sul sacerdozio in relazione alla chiesa e al mistero eucaristico. Così fa laPresbyterorum Ordinische, dopo aver parlato dei presbiteri come evangelizzatori, prosegue dicendo che “il loro servizio, che comincia con l'annuncio del Vangelo, deriva la propria forza e la propria efficacia dal sacrificio di Cristo” che essi rinnovano misticamente sull’altare.
Questi due compiti del sacerdote sono quelli che anche gli apostoli riservarono a se stessi: “Quanto a noi - dichiara Pietro negli Atti - continueremo a dedicarci alla preghiera e al ministero della Parola” (At 6,4). La preghiera di cui egli parla non è la preghiera privata; è la preghiera liturgica comunitaria che ha al suo centro la frazione del pane.
Come il sacrificio della Messa non si concepisce se non in dipendenza dal sacrificio della croce, così il sacerdozio cristiano non si spiega se non in dipendenza e come partecipazione sacramentale al sacerdozio di Cristo. È da qui che dobbiamo partire per scoprire cosa si richiede dal sacerdote in quanto ministro dell’Eucaristia.
La novità del sacerdozio di Cristo rispetto a quello dell’antica alleanza (e, come oggi sappiamo, rispetto a ogni altra istituzione sacerdotale anche fuori della Bibbia) è messa in rilievo nella Lettera agli Ebrei (che stiamo meditando in questi giorni durante l’Ufficio delle Letture) da diversi punti di vista: ma la differenza fondamentale viene descritta in questo passo: “Cristo, sommo sacerdote dei beni futuri […] è entrato una volta per sempre nel luogo santissimo, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue. Così ci ha acquistato una redenzione eterna. Infatti, se il sangue di capri, di tori e la cenere di una giovenca sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano, in modo da procurar la purezza della carne, quanto più il sangue di Cristo, che mediante lo Spirito eterno offrì se stesso puro di ogni colpa a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente!” (Eb 9, 11-14).
Ogni altro sacerdote offre qualcosa fuori di sé, Cristo ha offerto se stesso; ogni altro sacerdote offre delle vittime, Cristo si è offerto vittima! Sant’Agostino ha racchiuso in una formula celebre questo nuovo genere di sacerdozio, in cui sacerdote e vittima sono la stessa cosa: “Ideo victor, quia victima, et ideo sacerdos, quia sacrificium”: "vincitore perché vittima, sacerdote perché sacrifico”.
Nel passaggio dai sacrifici antichi al sacrificio di Cristo si osserva la stessa novità che nel passaggio dalla legge alla grazia, dal dovere al dono. Da opera dell’uomo per placare la divinità e riconciliarla a sé, il sacrificio passa ad essere dono di Dio per placare l’uomo, farlo desistere dalla sua violenza e riconciliarlo a sé (cf. Col 1,20). Anche nel suo sacrificio, come in tutto il resto, Cristo è “totalmente altro”». (Dall'Omelia per la Messa Crismale)
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