Se il digiuno rimette «in linea» con il Signore

L'ultimo contributo dei don Nicola De Sena e Umberto Guerriero, per la rubrica "Gli anni belli", disponibile sul mensile diocesano inDialogo, ogni quarta domenica del mese

Oggi più che mai la cura per il corpo è diventata quasi un’ossessione per tutti e, in modo particolare, per i giovani. Sono proprio le nuove generazioni che avvertono con forza la pressione sociale di dover avere un corpo all’altezza dei modelli che vengono continuamente proposti, o forse sarebbe meglio dire imposti dai media: sempre più magri, sempre più atletici, sempre più efficienti. Ogni occasione è buona per mettersi a dieta e recuperare quella forma fisica che troppo spesso è ben lontana proprio da quei modelli a cui un po’ tutti aspirano. allora perché non sfruttare anche la Quaresima appena iniziata e, tra un fioretto e l’altro, cercare di unire l’utile al dilettevole?

In effetti, il digiunare rappresenta una pratica che accomuna in maniera trasversale numerose esperienze religiose. Tuttavia oggi sembra aver smarrito ogni significato ascetico e spirituale per appiattirsi soltanto sulla dimensione dell’immagine e della fisicità. Ma allora ha ancora senso parlare di digiuno? In fondo se anche Gesù ci chiede di digiunare e di farlo col sorriso (cf. Mt 6,16) forse vale davvero la pena tentare. Ad uno sguardo meno ingenuo, infatti, ci si può accorgere che il significato biblico del digiuno va molto al di là di una semplice pratica volta a temprare la volontà o a mortificare il corpo. È evidente invece che si tratta di una possibilità additata ad ogni uomo per riscoprire e percorrere vie di comunione. Il concetto stesso del digiuno rimanda immediatamente all’idea del cibo. Ma in verità stiamo parlando di un’esperienza molto più complessa, perché scopriamo che spesso tante altre realtà possono rischiare di renderci schiavi e di sedurci con la loro opulenza.

Proprio per questo motivo è importante comprendere il digiuno non tanto come una rinuncia o una privazione. Questa prospettiva sarebbe difficilmente comprensibile per l’uomo del nostro tempo e soprattutto per i più giovani. Da un lato è certamente vero che l’essere umano ha la capacità di dilazionare la soddisfazione dei propri desideri per orientarli verso un bene maggiore, nonostante siano di per sé segnati dalla ricerca dell’immediatezza e della totalità. E sappiamo anche quanta importanza abbia questa dinamica nel cammino di crescita e maturazione verso l’ardua meta della maturità. D’altro canto, però, il «voglio tutto e subito» resta il motto dell’uomo del nostro tempo abituato a realizzare, anzi ad avvertire quasi una doverosità di compiere tutto ciò che gli risalta tecnicamente possibile.

La pratica del digiuno può diventare allora un efficace rimedio contro questa moderna tentazione. Attraverso il digiuno siamo chiamati ad accogliere in maniera costruttiva una condizione che normalmente ci creerebbe quantomeno un po’ di disagio: la consapevolezza cioè di non essere autosufficienti, di non poter bastare a noi stessi. Il digiuno si presenta allora come strada per superare la tentazione dell’individualismo e fare spazio all’alterità. La sensazione di vuoto, non solo nello stomaco, è propedeutica alla possibilità di sviluppare la capacità di un’accoglienza autentica. Digiunare è quindi fare spazio dentro di noi per ritrovare il senso, per imparare a non divorare cose, esperienze e anche relazioni, ma a saperle assaporare e gustare.

Attraverso il digiuno è possibile imparare a ridestare i nostri sensi spirituali, a essere più pronti ad accogliere la Parola. Se sperimentassimo, infatti, una costante sensazione di sazietà ci ritroveremmo ad esserne storditi e incapaci di accogliere la novità di Dio. Gesù stesso, tentato dal diavolo nel deserto dopo quaranta giorni di digiuno ebbe fame. Tuttavia seppe rispondere prontamente alla provocazione del tentatore: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4).

Ecco che il digiuno diventa addirittura condizione necessaria all’incontro con il Signore. Insomma, non si tratta tanto di togliere la pancetta, né tantomeno di dimostrare fermezza di fronte agli impegni assunti e alle rinunce fatte per devozione o tradizione. Si tratta invece di ritrovare una connessione profonda, di «rimettersi in linea» con Gesù. 

 

 

 

 

 




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