Missionari sulla strada che porta all'infinito

L'ultimo contributo di don Ciro Biondi per la rubrica "Il dono della missione" sul mensile diocesano inDialogo

 

Fino a quando le nostre chiese e le nostre associazioni saranno popolate da giovani che non rischiano, la Chiesa non potrà essere quella fondata da Gesù Cristo. Scusate la franchezza, ma credo che non sia più possibile mentire ai giovani, alla primavera del mondo, al futuro della speranza, all’infinito dell’amore. Oggi c’è in atto una misteriosa competizione all’accaparramento dei giovani; sembra che ogni parrocchia, gruppo o associazione sia valutata dalla quantità di ragazzi e giovani che essa coinvolge nelle attività ricreative. Sì, perché tutto si svolge attorno a una mediocre qualità di «ricreazione» che cerca di far fronte a quello che l’industria mondiale offre a questa specifica classe di persone: balli di gruppo, musica, aperitivi, picnic, notti bianche e tant’altro per frenare il dissanguamento di tante associazioni.

L’annacquamento dei valori evangelici e dell’etica cristiana è diventato l’attività più impegnativa per coloro che dovrebbero insegnare a seguire il Maestro che indica la Via stretta, il Signore che propone di perdere la Vita, che confronta il mondo con la Verità per vincerlo. Si stanno creando paludi, acque morte dove si vive parassitariamente la mediocrità di ogni cosa, dove un selfie rubato diventa trionfo, dove si perde tempo per andare a salutare quelli di casa, a seppellire i morti, dove la comodità e la ricchezza non sono lasciate per seguire il Figlio dell’uomo che non ha una pietra dove posare il capo. Non si chiede più ai
giovani di fare la scelta della povertà per divenire poveri con i poveri, di essere puri in mezzo a coloro a cui non è stato insegnato ad avere occhi limpidi per vedere Dio, di accettare l’obbedienza alla volontà del Padre per realizzare il suo piano di salvezza. Si ha paura a chiedere tutto e ci si accontenta delle briciole che cadono dalle tavole delle baldorie del mondo a cui si siede per far parte dei potenti, di coloro che
sanno godersi il «carpe diem». Stiamo ritornando a vendere la «grazia a buon prezzo», la nemica mortale della Chiesa, come indicava Bonhoeffer. Abbiamo paura di testimoniare alla giovinezza dell’umanità un Dio vicino a ciò che è piccolo, che ama ciò che è spezzato, che gioisce gridando «trovato» quando tutti dicono «perduto», che dichiara «salvato» quello che gli altri condannano, che proclama «beato» colui che è dichiarato «sventurato».

Ai giovani bisogna proporre la «conformazione a Cristo» che sgorga dall’atto di fede nell’incarnato, crocifisso, risorto figlio di Dio. Fede come partecipazione all’essere di Gesù. Bisogna trasmettere ai giovani una
fede che sia totalità, un atto vitale che lega alla terra, chiama ad essere responsabili, a prendersi degli obblighi per tutta l’umanità. Deve essere l’ «esserci per gli altri» di Gesù, perché la giovinezza abbia l’esperienza della trascendenza! Occorre avere il coraggio di invitare a liberarsi da se stessi, perché solo dall’ «esserci per gli altri» nasce l’onnipotenza, l’onniscienza, l’onnipresenza che permette di essere la persona di cui il prossimo necessita per incontrare l’eterno.

La decisione di Papa Francesco di proclamare venerabili tre ragazzi: Carlo Acutis, Pietro Di Vitale e Alessia González–Barros y González è stata una grazia per tutta la Chiesa. Carlo Acutis aveva solo 15 anni quando passò al cielo. A dodici anni da quel giorno la sua vita è diventata un ideale: la passione per l’Eucaristia che chiamava «la mia autostrada verso il cielo», la proclamazione del vangelo sui cinque siti internet che aveva creato da quel genio che era, la voglia di essere un originale e non una fotocopia come il mondo voleva e la chiarezza di avere un orizzonte aperto davanti a sé: «La nostra meta deve essere l’infinito, non il finito. L’Infinito è la nostra Patria». Questi sono gli splendori che i giovani si aspettano di ricevere da coloro a cui è stato chiesto di passare la fede, il dono che rende conformi a Cristo, membri della comunità dei figli di Dio.

 

 

 




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