Cari giovani chiedete di imparare a pensare

L'ultimo contributo per la rubrica "Gli anni belli" del mensile diocesano inDialogo

 

Un nuovo anno inizia sempre con un proposito da realizzare.

Cari giovani, al termine di questo scritto, vi presenteremo un traguardo da poter raggiungere, ma nel corso della lettura lo scoprirete da soli. Intanto ci e vi poniamo delle domande, delle provocazioni che possano stimolare e non annoiare voi lettori.

La famiglia insegna a pensare? La prima agenzia educativa, il nucleo fondamentale della nostra società, deve solo attenersi ad un’educazione sociale dei figli, deve provvedere loro cibo e vestiti, o deve aiutarli a maturare nelle scelte, ad essere facilitatori del discernimento nella vita dei ragazzi? Forse dovrebbe aiutarsi (la famiglia) a trovare il suo posto nel mondo e a realizzare la sua vocazione d’amore, che possa estendersi alla società: ma quanto ci si ferma a pensarsi?

La scuola insegna a pensare? È solo veicolo di istruzione base, cioè deve insegnare a scrivere, a leggere o «a far di conto», oppure deve insegnare anche l’arte delle relazioni, la maturità nel ripercorrere le pieghe della storia per non commettere oggi gli stessi errori? Può limitarsi ad un congiuntivo, un’espressione algebrica o una formula chimica, oppure può aiutare le giovani menti a pensare con la propria testa, rifuggendo la tentazione (di questi ultimi decenni) di plagiare i suoi giovani studenti?

L’università insegna a pensare? Tante volte diviene, in grande, una ripetizione dei nostri licei, dove siamo chiamati a ripetere a memoria concetti vomitati continuamente da professori «pappagalli». Eppure le grandi università del medioevo, sì proprio del periodo definito «oscuro», avevano come vocazione l’educazione al pensiero; dagli atenei uscivano veri sapienti, capaci di guardare il mondo con occhi collegati al cervello. Forse oggi, l’unico pensiero che ispira è quello di volersene uscire al più presto.

La Chiesa insegna a pensare? In tempo di crisi di umanità, la comunità cristiana si è ridotta talvolta ad un gruppo di superstiziosi, attenti alle manifestazioni folkloristiche, impegnati ad organizzare presepi viventi o sagre, ancor peggio le nostre parrocchie sono diventate supermercati di sacramenti e di messe per i defunti; la situazione però non migliora con i gruppi o movimenti, che percorrono la via della cura del proprio orticello, più che l’ausilio del pensiero nuovo. La Chiesa sembra non sapersi più pensare in questo mondo, incapace di leggere il suo tempo, isolata dal suo stesso linguaggio, che non sa decifrarsi nei nuovi linguaggi.

È chiaro il proposito che vi chiediamo, in questo nuovo anno: «Imparare a pensare».

Soprattutto voi giovani avete la capacità e la freschezza di cambiare la società e la Chiesa. Imparate a pensare una nuova strada, un nuovo modo di interagire con gli altri, una nuova spinta evangelizzatrice. Chiedetelo alle vostre famiglie, alla scuola e all’università, pretendetelo dalla Chiesa.

 

 

 

 




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