Alleniamo il cuore, la lotta per la pace richiede impegno

L'editoriale che don Marco Antonio Napolitano, assistente ecclesiastico del settore giovani dell'Azione cattolica di Nola, ha scritto per inDialogo di Gennaio

di don Marco Antonio Napolitano*

«Benedetto il signore mia roccia che addestra le mie mani alla guerra le mie dita alla battaglia» (Sal 144). Anche quella per la pace è una lotta e lo deve essere soprattutto per noi credenti. Lo diceva papa Francesco in un incontro con i giovani africani nel 2015: «È necessario resistere, avere il coraggio della resistenza, della lotta per il bene!». Una lotta, ci ricorda il Salmo 144, per cui dobbiamo essere ben preparati, in una maniera estremamente raffinata, perché diventare operatori di pace vuol dire mettere le mani e le dita nel cuore ferito dell’umanità. E se le nostre mani e le nostre dita non sono addestrate, si rischia di fare danni più grossi di quelli che si vogliono risolvere.

La lotta per la pace inizia dal vincere noi stessi

È una lotta che inizia dal vincere noi stessi, dal combattere la fatica di uscire fuori dalle abitudini, dagli schemi, dalle contrapposizioni sociali, culturali, umane che spesso fanno parte integrante del nostro background culturale. È una lotta che si contrappone ai Golia del mondo, che con la lancia e la spada della ragione politica, dell’opportunità economica, o del semplice e primordiale istinto di prevaricazione vogliono farci credere che “deve andare così”, che “non c’è altra opzione”, che bisogna scegliere “il male minore”. È la lotta per “mostrare altri sogni che questo mondo non offre”, per testimoniare che è possibile sperare quando la disperazione sembra a portata di mano, è possibile trovare punti di contatto quando tutto ci dice che le diversità sono irriconciliabili, è possibile trovare un atomo di bontà con cui innescare una reazione a catena positiva anche quando l’aria è satura di cattiveria.

Perché, ci dice ancora il Salmo 144, l’uomo è fragile come un soffio, debole come un’ombra e ha bisogno di una “roccia” per non adeguarsi alla massa, per non cedere alla tentazione di pensare che l’oppressione del diverso, l’estremizzazione dei conflitti, le barriere divisorie e divisive siano l’unica soluzione alla complessità che inevitabilmente abita il mondo. Ha bisogno di un alleato, di una fortezza, un liberatore, uno scudo: e lo trova in Dio che con la sua parola, con la sua vita donata, con il suo essere totalmente “per” l’altro ci dimostra che anche i cieli possono essere piegati, che anche le rocce dure possono emettere acqua. Così anche ciò che ci sembra un rigido confine si può piegare per accogliere popoli diversi sotto un unico cielo, ciò che doveva essere un punto di non ritorno diventa un punto di partenza per una storia nuova e rinnovata.

Per vincere bisogna lasciarsi addestrare da Dio

Ma, per guardare le cose dal punto di vista di questo Dio di riconciliazione bisogna lasciarsi addestrare dalla sua voce che ci rende sensibili a riconoscere germogli di pace che non si lasciano indebolire dai venti freddi della guerra, a mettere le nostre mani a disposizione per scavare con delicatezza nel terreno gelato per fare emergere le prime foglie tenere di una storia completamente diversa. Bisogna aiutarlo a vincerci, perché la cultura della pace non si affermerà mai se prima non lasciamo che vinca in noi, nei nostri desideri sempre serpeggianti di vendetta, nella nostra cultura che a volte, distrattamente, esalta le contrapposizioni, dalla scuola allo sport, dal volontariato all’associazionismo.

Lottare per la pace a fianco a questo alleato potente significa mettersi dalla parte della fecondità, di un futuro che assomiglia ad un bosco in cui le piante sono “cresciute bene”, ad un palazzo in cui ogni colonna adorna e dà solidità alla costruzione. Arrendersi alla cultura della guerra, che spesso permea tanti ambiti dell’esistenza, vuol dire destinarsi ad un domani stentato, in cui i germogli sono avvelenati nei terreni inquinati dall’odio, in cui ogni costruzione (umana, sociale, spirituale) non ha più consistenza che le macerie che si lasciano dietro certe ideologie inumane. «Beato il popolo che ha il Signore come Dio», si legge ancora nel Salmo 144: saremo felici se ci lasceremo istruire da Dio, che ci sta a fianco nella lotta per la pace, dentro di noi e attorno a noi. 

* assistente ecclesiastico settore giovani Azione cattolica diocesana




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