Nel nome di Gesù la certezza di essere fatti per la vita

Alcuni passaggi dell'omelia del vescovo di Nola, Francesco Marino, in occasione della Celebrazione eucaristica in suffragio di monsignor Giuseppe Costanzo, vescovo dicesano alla fine degli anni ottanta.

Lo scorso venerdì, 10 ottobre, presbiteri e laici della Chiesa di Nola, si sono ritrovati presso la Cattedrale per celebrare, insieme al vescovo diocesano, monsignor Francesco Marino, la Santa Messa in suffragio di monsignor Giuseppe Costanzo, arcivescovo emerito di Siracusa, già vescovo di Nola dal 1982 al 1989. 

Un legame solido perchè fondato sulla fede 

«Carissimi tutti, fratelli e sorelle di Dio, innanzitutto voglio dire a voi e a tutti voi, il senso di piacimento, di gratitudine per essere presenti qui stasera E celebrare l'Eucaristia in suffragio dell'anima del nostro fratello in Cristo, monsignor Giuseppe Costanzo, che molti di voi hanno conosciuto, per il suo servizio di amore e di dedizione che ha espresso nella Chiesa, in particolare nel tempo in cui è stato vescovo di questa Chiesa Santa di Nola di cui egli aveva un caro ricordo. Con monsignor viario generale e anche alcuni sacerdoti presenti, nella visita che avemmo modo di fare anni fa a lui, già ammalato ma lucido e di vivace intelligenza, avemmo modo di constatare come la Chiesa di Nola gli stesse a cuore e verso la quale nutriva sentimenti di vivido ricordo e affetto attuale. Quindi c'era un legame, un legame che è rimasto solido per tutto il tempo del suo cammino terreno, un legame che noi capiamo benissimo era innanzitutto di ordine teologico-spirituale, che perciò stesso si esprimeva negli effetti, nel ricordo, nei sentimenti umanamente così nobili che lui coltivava. E dunque ringraziamo il Signore e esprimo anch'io a tutti voi il vivo compiacimento per la vostra presenza, per il senso di gratitudine che nutrite e per la preghiera che insieme esprimiamo».

Qui la liturgia del 10 ottobre

Il giorno del Signore è il giorno della vita

Un breve accenno alla parola di Dio che abbiamo ascoltato, una parola di Dio piuttosto difficile, ma che ben si cala nella liturgia che stiamo vivendo. La prima lettura, il profeta Gioele, profeta vissuto nell’VIII secolo a.C., secondo la maggior parte degli studiosi. Il suo nome significa “Yahweh è Dio”. Il Dio rivelato ai padri, il cui nome è stato rivelato a Mosè, è Dio. È l'unico Dio, con questa espressione si può dire questo, è il Dio assoluto, è il Dio dell'Alleanza, è il Dio della Salvezza, è il Dio che salva e sta in mezzo al suo popolo. E il profeta, nella sua profezia, nella sua meditazione, vuole esprimere soprattutto questo.

La breve lettura che abbiamo ascoltato ci parla del giorno del Signore, che è l'annuncio fondamentale che Gioele dà nel suo libro. Cos'è il giorno del Signore? È descritto in due modi. Uno, il giorno in cui l'umanità, il popolo stesso di Dio, sperimenta il buio, l'oscurità, il castigo, addirittura il terrore. È il giorno in cui, storicamente, si sperimenta il male, potremmo dire così, il male attivo, operante, che si manifesta in vari modi. E l’altro è il giorno della salvezza, è il giorno della misericordia, è il giorno in cui Dio manifesta la sua ombra, che apre alla speranza, apre alla fiducia, è il giorno di un giudizio di misericordia sull'umanità e sul popolo di Dio.

Ecco, pensando al giorno del Signore, noi possiamo pensare, in qualche modo, alla nostra storia. Anche noi, nel tempo difficile in cui viviamo, sperimentiamo un giorno di buio, un giorno di tenebre, dove il male è attivo. Ma questo non è il giorno del giudizio del Signore, se possiamo dire. Noi non siamo condannati a questo, non siamo precipitati nell'abisso della morte e del male. Ma il giorno del Signore è il giorno della vita, il giorno della grazia, cioè della misericordia, dell'annuncio e dell'annuncio di speranza. Dio salva, proprio perché è Dio. La misericordia del Signore non viene mai meno, anzi, trionfa, regna. E mi pare che possiamo confessare davanti al Signore, anche noi, guardando la nostra vita e guardando anche la vita delle persone a noi care, dei nostri defunti.

Gesù ha salvato l'umanità, restando in lui si tiene lontano il male

Nel Vangelo poi vediamo questo dibattito, non raro, tra Gesù e i suoi avversari. Gesù viene accusato di scacciare i demoni perché colluso: la sua opera non è quindi di salvezza ma malvagia, demoniaca. Ma Gesù si difende dicendo “Se io scacci i demoni con il dito di Dio allora il regno di Dio è giunto a voi”. Dunque, le azioni che Gesù fa di liberazione, di guarigione, di liberazione dal male, sono il segno che è venuto in regno di Dio. E Gesù dice che opera col dito di Dio, altrove dice l'opera dello Spirito Santo, mediante lo Spirito Santo.

Dunque, confondere l'azione di Dio e Gesù come azione biologica, confondere lo Spirito di Dio che agisce in Gesù, confondere l'azione dello Spirito Santo con Gesù come l'azione dello Spirito del male è peccato contro lo Spirito Santo. Tutti i peccati saranno perdonati, dice Gesù, ma non il peccato contro lo Spirito Santo. Cioè, il peccato di chiusura totale, di non riconoscere lo Spirito di Dio presente e operante in Gesù, di non riconoscere Gesù Cristo, di non riconoscere Gesù Cristo.

Molte volte questa tentazione, e direi anche questa prova, la attraversiamo anche noi: non riconoscere Gesù Cristo come presenza di Dio, come presenza dello Spirito di Dio, come l'impianto di Dio, come la manifestazione, la liberazione dal grande peccato. Quel peccato da cui noi ogni giorno preghiamo di essere liberati, come prova o come tentazione, quando diciamo “non ci abbandonare alla tentazione, ma liberaci dal male”; non riconoscere il Figlio di Dio presente e operante nella storia, e non riconoscere la salvezza, che Gesù porta anche nel nome, la salvezza di Dio operante in Gesù.

L'ultimo punto di questa pagina è la parabola del demonio che uscito da un uomo vi rientra. Perché ritorna? Se ne va per luoghi deserti, poi ritorna, trova la casa da cui è uscito. Che cosa vuol dire Gesù? In sintesi, direi che è la nostra storia. Gesù ci mette in guardia. Per che cosa? Per il fatto che noi siamo chiamati a stare in un continuo stato di conversione. Non possiamo dire di avere definitivamente risolto il problema della nostra salvezza. Certamente l'ha risolto il Signore: dell’opera di Dio non possiamo dubitare. Lui l'ha risolto. Ecco, allora, che ritorna quello che spesso troviamo nell'insegnamento di Gesù: l'invito alla vigilanza, ad essere attenti, ad essere, come dire, sempre pronti. Ecco, la conversione è un atto continuo. E conversione non in senso morale, carissimi fratelli e sorelle, cioè, torniamo al primo punto del nostro discorso evangelico di questa sera. Non in senso morale, ma nel senso della fede, nel senso della nostra attezione al Signore Gesù, del nostro riconoscimento, del nostro affidarci, del nostro conoscere e amare Lui.






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