Settimana Liturgica Nazionale: l'omelia del vescovo Marino per la Veglia di preghiera a Cimitile

Il vescovo di Nola ha indicato San Paolino di Nola come bussola per rimettere Cristo al centro della vita ecclesiale ed uscire così dalla confusione e dal disorientamento.

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«Sono lieto e grato di accogliervi sulla tomba del presbitero San Felice, tra queste pietre sacre che trasudano di una vivente tradizione cristiana. Stasera non compiamo una semplice visita ad un sito archeologico, piuttosto vogliamo attingere da questo cantiere di vera spiritualità un progetto di conversione per la nostra vita cristiana e per il servizio alle nostre chiese particolari».

Così il vescovo di Nola, Francesco Marino, ha accolto i partecipanti alla 75a Settimana Liturgica Nazionale - promossa dal Centro Azione Liturgica - in programma a Napoli fino a giovedì 28 agosto. Il numeroso gruppo di iscritti è giunto, ieri sera, presso il Complesso delle Basiliche paleocristiane di Cimitile, per concludere la seconda giornata di lavori con la veglia di preghiera “Mia sola arte è la fede”, ispirata agli scritti di San Paolino, pastore della Chiesa nolana dal 409 al 431.

Questo il testo dell'omelia del vescovo Marino

Eminenza reverendissima,
Eccellenze carissime,
carissimi presbiteri e diaconi,
distinte autorità, fratelli e sorelle tutti,

sono lieto e grato di accogliervi sulla tomba del presbitero San Felice, tra queste pietre sacre che trasudano di una vivente tradizione cristiana. Ci ospita la terra dell’antico cimitero nolano che San Paolino scelse come sua residenza episcopale, proprio perché qui era fervente il culto delle reliquie dei martiri. Per trasferirsi in questa zona il proconsole romano non esitò a vendere tutto ciò che aveva, consapevole di quello che abbiamo appena ascoltato nel Vangelo: «Dov’è il tuo tesoro là sarà anche il tuo cuore» (Lc 12, 34). Davvero con la sua scelta ha saputo farsi “borse che non invecchiano” e si è procurato un tesoro nei cieli che nessuno ha potuto rubargli. Stasera, pertanto, non compiamo una semplice visita ad un sito archeologico, piuttosto vogliamo attingere da questo cantiere di vera spiritualità un progetto di conversione per la nostra vita cristiana e per il servizio alle nostre chiese particolari. In certo modo, anche noi giungendo a Cimitile, abbiamo accolto il consiglio che Sant’Agostino suggerisce a Licenzio, suo giovane discepolo: «Vai in Campania e impara Paolino» (Lettera XXVI). Il monito disce Paulinum del Vescovo di Ippona, ci riguarda e ci attrae perché da Paolino, nonostante i suoi quasi 1700 anni, c’è sempre da imparare. Cambiano i tempi, sopraggiungono nuove tematiche e purtroppo anche ulteriori problematiche, ma il suo magistero resta come bussola per orientarci nel nostro cammino ecclesiale e personale.

Il tema, infatti, della settimana liturgica che stiamo vivendo, in quest’anno giubilare, riprende l’espressione dell’antico inno Te Deum che proclama Cristo nostra speranza. Così, lodando Cristo, riconosciamo che solo in Lui non saremo confusi in eterno. Mi colpisce molto questo passaggio conclusivo dell’Inno, perché ci permette di comprendere che l’opposto della speranza non è la “disperazione”, come si potrebbe immaginare, ma la “confusione”. Sì, fratelli e sorelle, la disperazione, come fragilità esistenziale, è pur sempre una patologia della speranza e – lo dico paradossalmente – proprio stante il suo carattere di evidente e riconoscibile disagio, appare quasi più risolvibile o almeno facilmente diagnosticabile. Invece, la confusione e il disorientamento è il vero dramma, perché rappresenta la tendenza insidiosa a ritenere importanti e valevoli stili, atteggiamenti e comportamenti che non sono oggettivamente autentici: e tuttavia non sempre riusciamo a riconoscerlo. Forse, potremmo dire che per riaccendere la speranza nella chiesa e nel mondo dobbiamo aiutarci a uscire da una certa confusione esistenziale e pastorale nella quale avvertiamo in non pochi casi di essere precipitati. È solo ritornando a Cristo, nostra speranza e nostro vero tesoro, che si supera la confusione; purtroppo anche di molte azioni liturgiche! San Paolino, dopo la sua conversione, si accorge della confusione nella quale viveva, pur avendo raggiunto una posizione economica e politica di tutto rispetto, e riconosce che «l’uomo senza Cristo è polvere e ombra» (Carme X, 289). Solo in Cristo il caos può ritornare ad essere cosmos. In questa dinamica spirituale la liturgia è palestra, perché ci conduce dalla contemplazione all’azione; come ricorda il tema del nostro convegno. A tal proposito San Paolo nella Lettera agli Efesini – volendo affermare questa radicale armonia da recuperare in Cristo – usa il termine “ricapitolare” in Lui tutte le cose, celesti e terrestri (cfr Ef 1,10). L’Apostolo attinge l’immagine proprio dal contesto liturgico della proclamazione della Parola, allorquando, conclusa la lettura l’inserviente avvolgeva attorno all’asta (capitulum) il rotolo di pergamena o di papiro del volumen. Il messaggio è chiaro: Cristo conferisce un senso unitario a tutte le sillabe, le parole, le opere della creazione e della storia. Potremmo anche dire che se lo contempliamo realmente attraverso i nostri riti e le nostre celebrazioni, è Lui che ispira ogni nostro desiderio, intuizione e progettualità. Ricordiamo, infatti, a questo proposito l’amarezza del poeta pagano Ausonio, maestro di retorica di Paolino, il quale avvertì come un tradimento la conversione del suo antico e promettente scolaro e gli indirizzò una lettera molto dura, rimproverandogli tra l’altro l’abbandono della vocazione di letterato e invitandolo a ripensare alla sua scelta di totale abbandono della vita precedente. Paolino replicò in particolare nel Carme X affermando: «Perché, o padre, mi comandi di ritornare occuparmi delle Muse, a cui ho rinunziato per sempre?», dichiarando così nel Carme che abbiamo appena ascoltato, che il motivo della sua ispirazione non erano più le divinità pagane, ma che egli nella fede aveva scoperto il vero senso della sua arte e lo scopo della sua poesia: «Per me l’unica arte è la fede, e Cristo la mia poesia» (Carme XX, 32). Noi abbiamo bisogno di ritornare a quest’insegnamento! E ce lo sta ricordando Papa Leone, il quale recentemente ha affermato: «Il primo grande impegno che motiva tutti gli altri, è portare Cristo nelle “vene” dell’umanità». Anche il compito della formazione liturgica è racchiuso nel custodire e trasmettere in ogni epoca della storia ciò che riguarda Cristo e la via per mantenersi nell’amicizia con Lui. È questo il criterio fondamentale che deve animare ogni celebrazione: ritrovare la via di Cristo, quando le circostanze e le difficoltà ci fanno deviare. Lo ricorda ancora San Paolino scrivendo a Sulpicio Severo: «Cristo venne nel mondo per proporci la sua vita come modello e specchio di vita» (Epistola XXIV, 21). Se Cristo anima la nostra speranza, potremo superare quattro ambiti liturgici nei quali tra i tanti mi pare si possa ingenerare il rischio della confusione. Il primo è l’ambito del luogo di culto. Qui Paolino volle edificare sette basiliche delle quali ci dà una descrizione dettagliata in diverse sue Lettere e in alcuni Carmi. È urgente prendersi cura del luogo in cui si celebrano i divini misteri. Dobbiamo superare la confusione di un’edilizia ecclesiastica, che si preoccupi esclusivamente della capienza funzionale, del pragmatismo e di un malinteso senso della sobrietà e non miri, piuttosto, ad accendere la speranza risvegliando quella nostalgia di Dio che ci chiama ad abitare la bellezza della sua “basilica”, ossia quella “basileia” del suo regno d’amore già qui sulla terra. Infatti, ricordiamo che, mentre Paolino accompagnava San Niceta nella visita alle sue Basiliche, così illustrava il suo progetto: «Ora voglio che tu contempli le pitture che si snodano in lunga serie sulle pareti dei portici dipinti […]. A noi è sembrata opera utile rappresentare con la pittura argomenti sacri in tutta la casa di Felice, nella speranza che, alla vista di queste immagini, la figura dipinta susciti l’interesse delle menti attonite dei contadini» (Carme XXVII). A questo proposito è necessario superare una seconda confusione, ossia la separazione tra vita liturgica e vita sociale, ritualità sacramentale e attenzione alle povertà: non dimentichiamo che contemplazione e azione sono le due dimensioni inscindibili della vita cristiana, unificate nella virtù teologale della carità. Qui Paolino abitava e celebrava il culto liturgico, egli infatti racconta: «Il piano terra è sempre aperto a tutti i bisognosi, sicché noi, che abitiamo al di sopra, possiamo porgere ai poveri ogni premura e nutrimento, mentre essi con i loro meriti recano salutare ristoro nelle nostre spirituali ferite: noi ci prendiamo cura dei loro corpi, essi con la preghiera assicurano la salvezza della casa dove sono ospitati» (Carme XXI). Troviamo in queste parole uno stile di servizio ai poveri autenticamente evangelico che mantiene insieme quella relazione di reciprocità e soprattutto quel compito di promozione spirituale che ci è chiesto come nostro specifico di discepoli del Signore. Paolino è consapevole di non essere un semplice operatore sociale, ma la sua identità profetica e regale da battezzato lo spinge a riconoscere nei poveri quel Cristo che ha conosciuto nella fede e nella liturgia. Nel contesto liturgico, l’attenzione ad ascoltare e a “tenere tra le mani” Cristo ci educa ad assistere e ad accarezzare con la stessa devozione e dedizione i poveri e qualsiasi realtà di umana povertà. Nei gesti liturgici, sobri e solenni, si apprende anche quello stile di approccio alle membra doloranti del Corpo mistico. La terza confusione riguarda il fraintendere l’autentica e necessaria ars celebrandi con una sorta di narcisismo di chi presiede l’assemblea. Paolino in questo luogo ci aiuta a comprendere l’urgenza di recuperare il ruolo primario della comunità orante, che lui chiamava il cenobio degli asceti, come il vero soggetto della vita liturgica in una parrocchia. La riforma liturgica del Concilio Vaticano II, ci ha aiutato a comprendere la dimensione – direi sinodale – della partecipazione attiva che non vuol dire, come sappiamo, confondere ruoli e competenze specifiche, ma riscoprire le diverse ministerialità e incentivare la dimensione battesimale del sacerdozio comune. L’etimologia della parola ci ricorda che la liturgia è azione del popolo, tutto sacerdotale, e non solo azione per il popolo di un presbitero che agisce da solitario protagonista. Ricordiamo in particolare che la celebrazione eucaristica non è una rappresentazione dell’ultima Cena, ma una ripresentazione di noi agli avvenimenti del mistero pasquale di Cristo. Infine, permettetemi di accennare ad un’ultima confusione che mutuando le parole del Vangelo che abbiamo ascoltato, chiamerei così: la paura di essere piccolo gregge. Non accada mai di scoraggiarci per la carenza numerica dei partecipanti alle nostre liturgie. Lo sappiamo, non ci sono più le chiese piene come una volta, ma non rinunciamo a curare la bellezza di ogni celebrazione sia feriale che festiva! Paolino ci lascia un patrimonio di omelie e commenti alla Parola che certamente sono la trascrizione di quanto offriva al popolo durante le celebrazioni. La liturgia della Trasfigurazione sul Tabor aveva solo tre partecipanti: Pietro, Giacomo e Giovanni, eppure il Signore non fa mancare loro l’abbondanza dei segni e la generosità dei gesti. Se le nostre liturgie custodissero la memoria del Tabor e ne imitassero la modalità celebrativa, certamente trasfigurerebbero un’umanità che spesso porta i tratti dello sconforto e della depressione. La via del “trasfigurare” attraverso la liturgia diventa la possibilità di aiutare il Popolo di Dio a recuperare la Speranza. Una liturgia “fatta bene” fa vedere qualcosa oltre ciò che appare e permette di scoprire l’umano autentico. Sono convinto che in questo sia urgente riscoprire la liturgia domenicale come annuncio di speranza. Oggi siamo chiamati a far scoprire la bella umanità liberandoci dalla paura della morte. In questo ci aiuta la liturgia della Domenica. Non dimentichiamo che sia Sant’Agostino che San Paolino iniziano a ripensare la loro vita e a convertirsi restando spiritualmente affascinati dal modo in cui Sant’Ambrogio celebrava a Milano.

Carissimi amici, con la stupenda preghiera di San Bernardo vogliamo guardare a Maria, stella dei naviganti e invocarla quando nelle tempeste della vita, la nostra barca è sballottata dalle onde della tristezza e della confusione, certi che Lei ci conduce sempre a Cristo, nostra speranza!

+ Francesco Marino
Vescovo di Nola

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